ELEOUSA magazine
Agosto '17

La Chiesa sostiene la lotta contro il male. Intervista al metropolita Hilarion di Volokolamsk


Testo integrale dell’intervista del quotidiano serbo «Večernie Novosti» al presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, metropolita Hilarion di Volokolamsk, rettore della
Scuola di dottorato e alti studi teologici del Patriarcato di Mosca, presidente della Commissione sinodale biblico-teologica, membro permanente del Sacro Sinodo della Chiesa ortodossa russa, vicario di Sua Santità il Patriarca.

La Chiesa ortodossa russa sostiene l'intervento militare in Siria come l'unico modo per salvare i cristiani e preservare l'eredità cristiana in questo Paese. Come spiega l'indecisione dell’Occidente cristiano in questa materia?

Ispirata dalle parole del Salvatore: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5, 9), la Chiesa ortodossa russa ha sempre invitato i potenti di questo mondo, che il Signore ha chiamato a governare i popoli (cfr. Prov 8, 15), a cercare per mezzo di trattative una soluzione pacifica e reciprocamente accettabile per tutte le controversie che dovessero insorgere tra gli Stati.
La pace è un dono della grazia di Dio, per la quale preghiamo e che chiediamo al Signore per noi stessi e per tutte le persone. Questo vale pienamente per gli eventi in Medio Oriente, in particolare in Siria, che è diventato un luogo di duro confronto armato tra i vari gruppi politici e religiosi, le cui vittime sono principalmente di fede cristiana.
La posizione dei nostri fratelli nel Paese, in cui i discepoli di Cristo «per la prima volta furono chiamati cristiani» (At 11, 26), è molto difficile. In quei luoghi in cui gli islamisti radicali sono saliti al potere, i cristiani sono stati quasi completamente distrutti - fisicamente o espulsi dalla loro Patria. Gli ortodossi con il dolore nel cuore hanno osservato numerosi casi di violenza, rapimenti e uccisioni di vescovi e religiosi e la distruzione barbarica di templi antichi. La nostra Chiesa da più di un anno ha esortato la comunità internazionale a prestare attenzione al genocidio dei cristiani in Medio Oriente e a non rimanere in disparte dalla tragedia che minaccia la completa scomparsa del cristianesimo nei luoghi in cui è nato. L'unico modo per salvare i cristiani siriani dall'annientamento o dall'espulsione dalle loro case è quello di riportare la pace in questo Paese da tempo tormentato.
Purtroppo, il processo politico ad oggi non ha facilitato il destino di persone innocenti, e queste hanno bisogno di protezione militare. Per questo, quando la Federazione Russa ha preso la decisione responsabile di utilizzare le forze armate per proteggere il popolo siriano dalla tirannia dei terroristi, la Chiesa Russa, così come altre comunità religiose tradizionali del nostro Paese, hanno sostenuto questa decisione. Ma è importante notare che la partecipazione delle truppe russe per ristabilire la pace sul suolo siriano non può essere definito un intervento militare, in quanto non viola la sovranità dello Stato siriano, su richiesta del quale ha fornito aiuti militari, e non prevede il cambio forzato del governo regolarmente eletto dal popolo.
Per quanto riguarda la timida e anche doppia posizione dell'Occidente cristiano nei riguardi della Siria e di altri conflitti in Medio Oriente e in Nord Africa, essa è in gran parte dovuta al fatto che l’attuale società occidentale si allontana sempre più dalle sue radici cristiane e oggi giustamente viene chiamata post-cristiana, o «di rottura» della fase cristiana della sua storia. Il processo di secolarizzazione ha portato al fatto che la maggior parte degli europei non si riferiscono nella loro vita al Vangelo ma si lasciano guidare dai principi secolari della «società dei consumi». I cristiani cercano di seguire i comandamenti del nostro Salvatore, ma sono diventati purtroppo una minoranza in Stati una volta cristiani.

Potrebbe commentare gli articoli pubblicati su alcuni giornali di Mosca (ad esempio, su «Nezavisimaya Gazeta»), in cui si dice: «la chiamata alle armi è dei generali, non dei servi di Dio». In questi articoli sono stati criticati non solo la guida della Chiesa ortodossa russa, ma anche i leader musulmani della Russia, che hanno approvato le azioni del governo.

I credenti in Russia sono abituati alle critiche infondate e tendenziose sulle pagine dei giornali, che senza alcun motivo si definiscono liberali e in realtà non difendono la libertà, ma con la forza cercano di raggiungere nell’opinione pubblica l'unanimità su tutte le questioni, siano esse politiche, economiche, storiche e morali. Siamo confortati e rafforzati dalle parole del Salvatore: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno. Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Lc 12, 32; Gv 15, 18-20).
Purtroppo, i rappresentanti di «un sottile strato della società», che si ritengono intellettuali pseudoliberali, rifiutano nella loro mente e nella coscienza le buone qualità umane di coloro che non sono d'accordo con loro, stabiliscono una regola per insegnare tutto e a tutti tra cui la Chiesa. Queste persone non si preoccupano di leggere con attenzione anche il Vangelo, ci dicono come la Chiesa deve predicare la parola di Dio e incarnarla nella vita. In questo ci sarebbe da fare un commento, ma...
Nell’articolo da lei citato su «Nezavisimaya Gazeta» si legge: i ministri della Chiesa, che predicano la pace, non dovrebbero approvare la violenza armata. In realtà, la Scrittura afferma chiaramente: «Non uccidere» (Es 20, 13) e «chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto al giudizio» (Mt 5, 22). E allo stesso tempo il servizio alle armi, per definizione, è associato con la violenza armata, non è vietato, anche se collocato in un quadro di riferimento morale. Rispondendo alla domanda dei soldati che erano andati per farsi battezzare: «E noi cosa dobbiamo fare?» - San Giovanni Battista rispose: «Lasciate le vostre attività militari e impegnatevi nel lavoro di pace» - ma ha chiesto: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno e accontentatevi delle vostre paghe» (Lc 3, 14).
Con particolare riferimento all’ammissibilità di sopprimere il male con la violenza e con le armi, l'apostolo Paolo dice: «È al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male» (Rm 13, 4).
La guerra è una manifestazione fisica della malattia latente dell'umanità - l'odio fratricida (cfr. Gn 4, 3-12). Le guerre hanno accompagnato la storia dell’umanità dopo la caduta e, secondo il Vangelo, continueranno ad accompagnarla: «E quando sentirete parlare di guerre, non allarmatevi; bisogna infatti che ciò avvenga, ma non sarà ancora la fine» (Mc 13, 7).
La guerra e la violenza scompariranno dalla Terra solo nella prospettiva escatologica. Noi non vediamo l'ora della venuta del regno di Dio, in cui, secondo l'espressione figurativa del profeta, le persone «... forgeranno le loro spade in vomeri,
le loro lance in falci;
un popolo non alzerà più la spada
contro un altro popolo,
non si eserciteranno più nell'arte della guerra» (Is 2, 4). Ma, essendo in «questo mondo», che è nel male (cfr. 1 Gv. 5, 19) e pieno di violenza, i cristiani involontariamente si trovano ad affrontare la necessità vitale di partecipare a varie battaglie. Riconoscendo la guerra come il male, la Chiesa non proibisce ai suoi figli di partecipare alle ostilità, quando si tratta della sicurezza dei loro vicini e del ripristino della giustizia calpestata. Poi la guerra, anche se indesiderabile, è considerata un mezzo.
La legge morale cristiana non deplora la lotta contro il male, né l'uso della forza verso chi è il suo portatore e nemmeno la perdita della vita come ultima risorsa... ma piuttosto la malizia nel cuore umano.

Recentemente, nella parte orientale dell'Ucraina è stato distrutto un gran numero di chiese ortodosse. Qual è la situazione oggi, dopo la tregua nel Donbass?

La Chiesa ortodossa ucraina ha subìto ingenti danni nel Donbass. Durante il conflitto, a causa dei bombardamenti sono stati distrutti o danneggiati più di 80 templi. L'ultimo caso è stato registrato alla fine di agosto di quest'anno, quando è stata bombardata l'amministrazione diocesana nella città di Gorlovka. Dall’inizio del conflitto almeno tre dei nostri religiosi sono stati uccisi e diversi sacerdoti sono rimasti feriti. Ora la situazione sembra essersi calmata: con l'aiuto della Russia e delle potenze europee è stato raggiunto un accordo tra le parti in conflitto, c'è speranza per una tregua a lungo termine.
Nella regione ci sono tutti i segni di una catastrofe umanitaria. In Ucraina vengono attivamente raccolti gli aiuti umanitari per i soldati, ma molta meno attenzione è rivolta ai bisogni della popolazione civile nella zona del conflitto. Infatti, il lavoro maggiore in questa direzione viene svolto dai rappresentanti della Chiesa ortodossa ucraina. Sono stati raccolti e portati nelle zone del conflitto migliaia di tonnellate di aiuti umanitari, ma bisogna dire che la situazione in alcuni villaggi rimane spaventosa. Particolarmente vulnerabili sono i disabili e gli anziani, privati di pensioni e sussidi, non hanno alcun mezzo di sostentamento.

Quali sono le Sue previsioni: sarà possibile raggiungere la pace e l'armonia nella divisa Ortodossia ucraina?

Nel Donbass non c’è un conflitto interreligioso: c'è un conflitto civile e politico. La Chiesa ortodossa ucraina non ha mai sostenuto i tentativi di trasferirlo su un piano religioso. Ci sono stati casi in cui le milizie del Donbass hanno chiuso le parrocchie di altre confessioni sottraendone gli edifici - presumibilmente nell'interesse della Chiesa ortodossa. Ma la gerarchia della Chiesa canonica ha condannato tali atti e non ha mai accettato questi «doni». Inoltre, quando le milizie hanno rapito il pastore avventista, la Chiesa ortodossa ucraina sostenuto attivamente il suo rilascio.
Di gran lunga più preoccupante è la situazione nel resto dell'Ucraina. In Ucraina esiste una scissione con l'ideologia nazionalista, non è riconosciuta da nessuno nel mondo dell’Ortodossia - il cosiddetto «Patriarcato di Kiev», guidato dallo scomunicato Filaret Denisenko. Ora gli scismatici con l’appoggio illegale dei radicali nazionalisti, hanno preso con la forza i templi della Chiesa canonica; essi sono spesso sostenuti dalle autorità locali. Hanno sequestrato più di trenta templi.
Uno degli ultimi casi si è verificato nel villaggio di Katerinovka, nella regione di Ternopil' (Ucraina occidentale). La polizia e i radicali non solo hanno sequestrato il tempio, ma hanno anche compiuto un massacro dei fedeli della Chiesa ortodossa ucraina, percuotendo anziani, donne e bambini. Quindici persone sono andate in ospedale, due di loro sono ancora ricoverati in ospedale con gravi ferite. E tali sequestri vengono presentati dai mezzi di informazione locali come una «transizione volontaria della comunità» tra gli scismatici!
I reclami al pubblico ministero e alle autorità locali non aiutano, la leadership del Paese, inoltre, non reagisce. Infatti, come ha recentemente detto uno dei gerarchi della Chiesa ortodossa ucraina, il metropolita Antonij di Boryspil, «i credenti sono persone fuori dalla legge». In alcune regioni dell'Ucraina (Ternopil', Volyn', Rivne) sono stati creati artificialmente e vengono alimentati focolai di tensioni settarie. Le conseguenze di una tale politica potrebbe essere terrificante.

Rimossi i greco-cattolici le chiese in Ucraina vengono trasferite agli ortodossi? Il proselitismo cattolico resta il principale ostacolo all’incontro tra il Patriarca di Mosca e di tutta la Rus’ e il Papa?

Gli uniati hanno portato via le chiese ortodosse in Ucraina occidentale alla fine del 1980 - primi anni del 1990, quando la Chiesa greco-cattolica ucraina è stata riconosciuta legalmente e ha iniziato a ricostruire le sue strutture amministrative e parrocchiali. La Chiesa greco-cattolica ucraina ha rivendicato tutti i templi che un tempo appartenevano a lei, ma dopo il Consiglio di Leopoli nel 1946 essi sono stati trasferiti al Patriarcato di Mosca. Allo stesso tempo, il sequestro delle chiese spesso è stato accompagnato da violenza da parte degli uniati contro il clero e i laici. Di conseguenza, sono state distrutte tre diocesi ortodosse nelle regioni di Leopoli, Ternopil' e Ivano-Frankivs'k.
Attualmente, il problema del sequestro dei templi nella Chiesa canonica ortodossa ucraina è associata, in primo luogo, alle azioni degli scismatici del cosiddetto «Patriarcato di Kiev», che fanno uso del sentimento nazionalista in Ucraina per i propri scopi.
Tuttavia, fin dai primi giorni dei disordini sul Maidan, il clero e i fedeli della Chiesa greco-cattolica ucraina hanno anche preso parte attiva al conflitto civile in Ucraina. Spesso, in questo caso, hanno usato apertamente la retorica russo-fobica con gli attacchi anche contro la Chiesa ortodossa russa. Questo, naturalmente, non poteva che influenzare le nostre relazioni con la Chiesa cattolica. Questi eventi ancora una volta hanno mostrato chiaramente che il principale ostacolo al dialogo tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica romana è l'uniatismo, praticato in passato per il passaggio degli ortodossi al cattolicesimo e hanno lasciato una memoria storica dolorosa e le ferite non sono ancora guarite. Per quanto riguarda il proselitismo cattolico sul territorio canonico del Patriarcato di Mosca, è stato un grave problema di quindici anni fa, ma ora ha perso la sua forza. I rapporti con la Chiesa cattolica romana in Russia, Ucraina, Bielorussia, Kazakistan e altri Paesi si stanno sviluppando in uno spirito di cooperazione costruttiva.

In che misura sono realistiche le previsioni di alcuni media occidentali, che scrivono che mai come ora è possibile l’incontro tra il Patriarca e il Papa, forse perché l'attuale Papa è più accondiscendente e più impegnato nella cooperazione rispetto ai suoi predecessori?

La possibilità di un incontro tra il Patriarca di Mosca e di tutta la Rus’ e il Papa di Roma è stata discussa per lungo tempo. La gerarchia della Chiesa ortodossa russa non ha mai rifiutato una tale possibilità in linea di principio, ma le condizioni oggettive non ancora consentono la sua attuazione. Un tale incontro deve essere ben preparato. È necessario prima raggiungere un accordo sui principali problemi nelle relazioni tra le due Chiese, che saranno poi contenuti nella dichiarazione congiunta del Patriarca e del Papa.
Negli ultimi anni, le nostre relazioni bilaterali sono migliorate in modo significativo. Da entrambe le parti vi è la consapevolezza della necessità di cooperare per una risposta più efficace ai principali problemi e sfide del nostro tempo. Come regola generale, le posizioni delle nostre Chiese in questo senso sono molto vicine: c’è la necessità di difendere i valori cristiani tradizionali nella società laica, proteggere i cristiani dalle persecuzioni, principalmente in Medio Oriente, compiere ogni sforzo per la pace e un approccio comune per affrontare i principali problemi sociali e umani.
Papa Francesco ha più volte mostrato interesse per lo sviluppo fecondo del dialogo e della cooperazione con la Chiesa russa. La sua posizione, così come la posizione ufficiale della Santa Sede su tali temi scottanti come il conflitto civile in Ucraina, gli sviluppi in Medio Oriente e la situazione dei cristiani in questa regione è molto vicina a quella condivisa da Sua Santità il Patriarca Kirill. Ho più volte incontrato il Papa e ha trovato da parte sua attenzione e comprensione della posizione del Patriarcato di Mosca. Questo dà motivo di sperare in progressi sostanziali nella soluzione dei problemi che ancora esistono nelle nostre relazioni bilaterali.

Come giudica la recente riunione dei gerarchi della Chiesa ortodossa ucraina con il capo della non riconosciuta «Chiesa ortodossa montenegrina», guidata dal sedicente metropolita Mikhajlo Dedeič?

Se mi è consentito, vorrei fare qualche precisazione. I gerarchi della Chiesa ortodossa ucraina non possono incontrarsi con Mikhajlo Dedeič perché la struttura da lui guidata deriva da uno scisma. Mikhajlo Dedeič non è riconosciuto da nessuna Chiesa ortodossa locale, come non è riconosciuto lo scismatico ucraino Filaret Denisenko, che ho citato prima. Perché la Chiesa serba non riconosce Filaret? La Chiesa ortodossa russa non riconosce il signor Dedeič.
I casi di cui stiamo parlando sono un tentativo degli scismatici montenegrini e ucraini di acquisire visibilità per il loro riconoscimento nel mondo ortodosso. Sia Dedeič che Denisenko visitano le rispettive case e perfino «servono» con l'altro. I loro metodi sono simili: gli uomini di Filaret hanno percosso donne anziane in Ucraina, e Dedeič in Montenegro, come ho sentito di recente, ha colpito una donna anziana sul volto. La Chiesa canonica non ha il benché minimo rapporto con queste persone.

Recentemente l’Albania ha proposto che il Kosovo diventi membro dell'Unesco, questo ha provocato delusione tra i fedeli e il resto dei cittadini della Serbia. Come sa, nella provincia serba del Kosovo e Metohija ci sono quattro santuari serbi, che sono stati dichiarati patrimonio culturale mondiale: Visoki Dečani, Patriarcato di Peć, Gracanica e Nostra Signora di Ljeviš. Potrebbe dire qualcosa su questo tema?

Conosciamo la promozione attiva degli interessi del Kosovo nell’Unesco - una provincia serba illegalmente sequestrata. Tali proposte sono state avanzate a dispetto delle norme esistenti del diritto internazionale, che sostengono l'integrità della Serbia, il suo diritto, in conformità con i documenti dell'Unesco, a proteggere i grandi santuari ortodossi del Kosovo.
Questa organizzazione ha una responsabilità particolare per l'integrità dei monumenti, compresi quelli che si trovano in Kosovo, inclusi nella lista del Patrimonio Mondiale. La comunità mondiale ha assistito agli attacchi contro l'integrità dei luoghi sacri di questa provincia, attuati dai radicali con la connivenza delle autorità locali. Credo che l'adesione del Kosovo nell’Unesco - un'organizzazione istituita per proteggere la cultura del genere umano - nelle condizioni attuali di minaccia dei santuari ortodossi della provincia potrebbe essere un errore, le cui conseguenze sarebbero irreparabili.

Le autorità montenegrine esercitano una forte pressione sulla Chiesa ortodossa serba in questo piccolo Stato. C'è una pressione non solo da parte dell’autoproclamata «Chiesa ortodossa montenegrina», ma anche dalle autorità di Podgorica. Nella Chiesa ortodossa serba in Montenegro vogliono prendere degli immobili. Può dirci cosa sta accadendo in questo Paese?

Osserviamo con profonda preoccupazione il deteriorarsi della situazione della Chiesa ortodossa in Montenegro. Alcuni politici, che stanno cercando di strappare il Montenegro dal contesto dello sviluppo storico dell'Ortodossia nella regione dei Balcani occidentali, attribuisce alla religione una visione politicizzata. Essi tendono a vedere nella Chiesa ortodossa canonica una minaccia alla sovranità montenegrina e all’identità nazionale. Questo approccio non è ragionevole, e una politica basata su questo mina le fondamenta tradizionali della vita della società montenegrina.
La Chiesa ortodossa vive secondo le proprie leggi. Mantiene la tradizione spirituale e culturale che risale alla notte dei tempi, e questa tradizione riunisce cittadini provenienti da diversi Paesi e rappresentanti di diverse nazioni. Il Patriarcato di Alessandria, per esempio, è competente in tutti i 55 Paesi del continente africano, il Patriarcato di Mosca - in quindici Paesi, il Patriarcato serbo - in sei. Inoltre, in ciascun Paese beneficia di condividere con gli altri ospiti i confini canonici della Chiesa ortodossa locale, perché nell’unità spirituale e culturale deriva l’opportunità di consolidare i buoni rapporti con i vicini.

Lei ha partecipato al miglioramento delle relazioni tra Skopje e Belgrado. Qual è la sua valutazione dei negoziati tra la gerarchia ecclesiastica di Serbia e Macedonia?

La soluzione del problema della Chiesa macedone e il ritorno della non riconosciuta Chiesa ortodossa macedone in comunione eucaristica con il mondo dell’Ortodossia avrebbe una grande importanza per il futuro dell'Ortodossia nella Repubblica di Macedonia. Riteniamo, tuttavia, che questa soluzione possa essere raggiunta solo nel dialogo della Chiesa ortodossa macedone con il Patriarcato serbo.
Speriamo in una rapida ripresa dei colloqui tra Belgrado e Skopje, così come nel fatto che questi negoziati possano raggiungere ben presto soluzioni reciprocamente accettabili.


Nota: Traduzione del testo dal russo a cura della redazione



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