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Agosto '17

Il primato nella Chiesa universale… Conferenza all’Accademia teologica di Mosca


«Il primato nella Chiesa universale. Posizione del Patriarcato di Mosca» è il tema della relazione che il presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca (Decr), metropolita Hilarion di Volokolamsk, rettore della Scuola di dottorato e alti studi teologici, ha tenuto presso l’Accademia Teologica di Mosca, nella Laura della Trinità di San Sergio a Sergiev Posad, il 20 maggio 2014. Alla conferenza hanno partecipato oltre duecento persone tra insegnanti e studenti dell'Accademia.
La questione del primato sarà affrontata alla prossima riunione della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra le Chiese ortodosse e la Chiesa cattolica romana, che si terrà ad Amman (Giordania) dal 15 al 23 settembre 2014. Alla riunione parteciperà la delegazione del Patriarcato di Mosca, guidata da Vladyka Hilarion e composta dallo ieromonaco Stefan (Igumnov), segretario del Decr per le relazioni interortodosse, e dal sacerdote Aleksij Dikareke, dipendente del Segretariato per le relazioni intercristiane.

Oggi voglio parlarvi della posizione del Patriarcato di Mosca sulla questione del primato nella Chiesa universale. Questo argomento è stato discusso per molti secoli e la posizione della Chiesa ortodossa sembra essere del tutto chiara e non dovrebbe causare problemi. Tuttavia, oggi ci troviamo di fronte al fatto che negli incontri tra ortodossi e nel dialogo ortodosso-cattolico ci sono opinioni e punti di vista diversi su questo argomento, a volte anche i rappresentanti delle Chiese ortodosse non sono d'accordo tra loro. Tutto questo suggerisce che l'argomento non è così semplice come può sembrare: oggi la discussione su questo tema ha rivelato alcuni spigoli vivi sia nel dialogoco con la Chiesa cattolica (anzi, proprio sulla questione del primato si è verificato nella Chiesa una volta un divario), ma anche nel rapporto tra le Chiese ortodosse locali.
Già nel primo secolo dopo Cristo la Chiesa di Roma godeva di particolare prestigio tra le altre Chiese. Ciò era dovuto a due fattori principali.
In primo luogo, Roma era la capitale dell'impero stesso, dello stesso ecumene entro il quale cominciò a diffondersi il Cristianesimo. In secondo luogo, Roma era la città nella quale subirono il martirio gli Apostoli Pietro e Paolo. Sull’importanza della Chiesa di Roma hanno parlato nel secondo secolo i santi Ignazio di Antiochia e Ireneo di Lione - essi attribuivano la sua autorità alla predicazione e al martirio degli Apostoli. Della Chiesa di Roma parlavano come primato nella carità (questa espressione si trova nella Lettera ai Romani di Sant’Ignazio di Antiochia).
Già nel terzo secolo nella teologia occidentale si parlava della correlazione tra l'apostolo Pietro e il vescovo di Roma. Papa Stefano I prese le parole del Vangelo dell’apostolo Matteo «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18) per il suo ministero episcopale, affermando in tal modo il principio della successione dell'apostolo Pietro. Nel 382, presso la cattedra di Roma, presieduta da papa Damaso, fu approvato l’ordine dei troni in rapporto all'apostolo Pietro: Roma, Alessandria ed Antiochia. Il primato del Papa tra i vescovi della Chiesa universale in Occidente derivò dal ruolo primario dell'apostolo Pietro nella comunità apostolica: come Cristo ha incaricato Pietro a pascolare le sue pecore, così il vescovo di Roma è il capo supremo di tutta la Chiesa. Una tale visione esisteva a Roma già nei secoli IV e V.
Nel frattempo, in Oriente il rapporto diretto tra l'apostolo Pietro e la continuazione del suo ministero in quello del vescovo di Roma non veniva percepito. Nell’interpretare le parole del Signore al capitolo 16 del Vangelo di Matteo, i Padri orientali, invece, avevano posto l'accento sulla fede di Pietro: la Chiesa è costruita sulla roccia, che non è l'apostolo Pietro ma la confessione di Gesù Cristo come Figlio di Dio e Salvatore dalla bocca di Pietro. Alcuni Padri, tra cui, ad esempio, San Basilio il Grande, consideravano la confessione di Pietro legata alla sua personalità; quindi non vedevano alcun legame diretto tra il ministero dell’apostolo Pietro e il ministero del vescovo di Roma.
La Chiesa di Roma ha goduto di grande autorità morale e il coinvolgimento del vescovo di Roma nel potere monarchico è il risultato dello sviluppo storico della Chiesa d’Occidente, al quale la Chiesa d’Oriente non partecipò.
Le divergenze sul potere del vescovo di Roma in Occidente e in Oriente sono testimoniate storicamente dai Concili Ecumenici: come sappiamo, erano presenti i legati del Papa, ma nessun Papa di Roma partecipò di persona ai Concili né ha mai presieduto i Concili. Tutte le decisioni conciliari furono prese con la seguente formula: «È parso buono allo Spirito Santo e a noi». Erano viste in Oriente come decisioni vincolanti per l'intera forza della Chiesa universale, proprio perché erano state prese ai Concili Ecumenici.
Quando il Concilio Ecumenico accettava e valutava positivamente i documenti provenienti dalla Chiesa di Roma non era perché Roma era la loro fonte, ma perché erano attinenti alla fede ortodossa; in particolare, la lettera (Tomus) di Papa Leone I fu adottata dal IV Concilio Ecumenico dopo essere stata esaminata e i Padri conciliari giunsero alla conclusione che essa conteneva la dottrina e gli insegnamenti di Cirillo (Cirillo di Alessandria), e che «Pietro parla per bocca di Leone». Questa espressione, pronunciata al Concilio, non significava il riconoscimento in Oriente del vescovo di Roma come unico ed «esclusivo» successore dell'apostolo Pietro e portatore della stessa autorità e dello stesso primato incondizionato che aveva l’apostolo Pietro presso la comunità apostolica.
In Occidente, invece, c’era la consuetudine che le decisioni dei Concili Ecumenici erano vincolanti per la Chiesa universale solo dopo che erano stati approvati dal Papa. Per i teologi occidentali le decisioni conciliari dovevano essere riconosciute dal Papa per garantire che queste decisioni fossero alla fine adottate. Il Papa si riservava il diritto di non accettare determinate decisioni dei Concili Ecumenico. Ad esempio, il canone 28 del Concilio di Calcedonia, che riguardava il riconoscimento del secondo posto nei dittici del Patriarca di Costantinopoli e dello stesso primato del vescovo dell’antica Roma, in Occidente questo canone non è mai stato riconosciuto.
Se si esamina il testo di questo canone del Concilio, vediamo che per i Padri della Chiesa d'Oriente la motivazione principale che il trono della Nuova Roma - Costantinopoli aveva gli stessi onori del trono dell’antica Roma, riguardava il fatto che Costantinopoli, Nuova Roma, era divenuta la capitale dell’Impero Romano. Quando i Padri del Concilio affrontarono il problema del secondo posto nei dittici, non parlavano di successione dall'apostolo Pietro o da qualsiasi altro Apostolo, ma solo del significato politico della nuova capitale dell'Impero. La cattedra di Costantinopoli non poteva vantare le stesse radici storiche della cattedra di Roma come luogo del martirio degli apostoli Pietro e Paolo.
Già nel IV secolo in Occidente vi era la pratica del ricorso del vescovo che non era d'accordo con le decisioni del tribunale ecclesiastico al vescovo di Roma. Questa pratica è stata fissata nelle norme 3, 4 e 5 del Concilio di Sardica ed è stata successivamente confermata dal Concilio in Trullo. Ma, ancora una volta, il diritto di fare appello al vescovo di Roma non indicava alcun particolare suo ruolo universale. Infine, in casi particolari, l’appello al vescovo di Roma fu rivolto anche da alcuni Padri orientali, ma, essi, in primo luogo, non si riferivano a lui come capo della Chiesa universale, ma come portatore di una speciale autorità spirituale e morale; in secondo luogo, essi fecero appello non solo al vescovo di Roma, ma anche ad altri vescovi.
A partire dal V secolo fu costituita nell’Oriente cristiano la cosiddetta «pentarchia» - un sistema di governo di cinque Patriarcati, formato dai cinque Troni più antichi ed importanti: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. L'imperatore Giustiniano stabilì l’ordine (τάξις greco) dei cinque Troni patriarcali, tra i quali il primo posto apparteneva a Roma. Il concetto di «pentarchia» indica un sistema di gestione collegiale implicita nella Chiesa e dove i Patriarchi sono uguali fra loro; uno di essi è il primo, ma è primo fra pari (primus inter pares) - tale era il vescovo di Roma.
A volte nelle fonti orientali incontriamo espressioni molto sublimi relative alla sede di Roma e al vescovo di Roma. Ad esempio, San Massimo il Confessore chiama Roma la prima metropolia fra tutte le Chiese, una roccia molto dura e ferma, la più grande Chiesa apostolica, che detiene le chiavi della fede e della fede ortodossa. La storia della sua vita e la lotta per l'Ortodossia di San Massimo il Confessore indicano chiaramente che lui, così come altri Padri orientali, ha fatto appello alle autorità morali e spirituali di Roma, ma non ha considerato il vescovo di Roma come capo della Chiesa universale, che invece è subordinato o dovrebbe essere subordinato agli altri Patriarchi.
Questa percezione del vescovo di Roma è sempre esistita in Oriente fino a quando ci fu il divario tra i troni di Costantinopoli e di Roma. Questa rottura si verificò nel 1054 e le sue cause principali non furono questioni di carattere dogmatico e teologico, ma problemi connessi alla pratica della Chiesa in vari territori contesi, come pure le differenze nelle pratiche rituali. Nei corsi di Teologia comparata e Storia della Chiesa voi avete studiato in dettaglio le motivazioni che hanno portato alla rottura tra le Chiese di Costantinopoli e Roma, e penso che non ci sia bisogno che ora ve ne parli. Ma vorrei sottolineare un fatto molto importante, che oggi è spesso trascurato: il divario nel 1054 non è avvenuto tra le due parti del mondo cristiano, tra Occidente ed Oriente. È stato un divario tra la Chiesa locale di Roma e la Chiesa locale di Costantinopoli. Esattamente tra il legato del Papa di Roma e il Patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario. Il Patriarca ecumenico, che aveva già ricevuto questo titolo, non era percepito in Oriente come il capo della Chiesa universale, che può comandare su tutto il corpo della Chiesa, ma come uno dei quattro Patriarchi orientali, e nei dittici prese il secondo posto. Accadde così che dopo la rottura tra Roma e Costantinopoli, che poteva essere temporanea, ma che si concluse con la rottura definitiva tra l'Occidente latino e l'Oriente ortodosso, la Chiesa di Costantinopoli si unì alle altre Chiese orientali, e questo fatto risultò del tutto naturale, perché in Oriente esisteva la natura conciliare nella gestione della Chiesa e tutti questi problemi furono discussi in modo conciliare.
Nell’Oriente ortodosso è rimasto il principio conciliare nel governo della Chiesa. Ecco perché il Patriarca di Costantinopoli Gregorio VI , nel declinare l’invito del Papa al Concilio Vaticano I, ha scritto: «Non possiamo accettare che in tutta la Chiesa di Cristo ci sia un vescovo a capo di un altro, ma il Signore, che vi sia un Patriarca che parla dal pulpito scavalcando i Concili Ecumenici o che gli apostoli non erano uguali». Il Patriarca Ecumenico Anthimos VI e il Sinodo della Chiesa di Costantinopoli nel 1895 scrissero una lettera al Papa di Roma Leone XII in cui dicono: «I Divini Padri onorano il vescovo di Roma come unico vescovo della città capitale dello Stato, a cui è stato concesso un primato d’onore, considerandolo semplicemente come il primo nell’ordine episcopale, cioè primo tra uguali, che è stato concesso anche al Patriarca di Costantinopoli, quando la città divenne la capitale dell’Impero romano, come dimostra il canone 28 del IV Concilio Ecumenico di Calcedonia. Nessuno dei Padri ha mai fatto accenno al fatto che il vescovo di Roma è a capo di una Chiesa universale».
Queste citazioni indicano inequivocabilmente e chiaramente in Oriente la posizione degli ortodossi in relazione al primato nella Chiesa universale. Questa posizione è nella confessione che il Capo della Chiesa è il Signore Gesù Cristo, che amministrativamente la Chiesa è governata da Patriarchi uguali in dignità e che nessuno di loro ha potere sugli altri Patriarchi, e, di conseguenza, che ogni Chiesa ortodossa locale è autocefala e si autogestisce. Si tratta di una dichiarazione di natura conciliare della Chiesa e per i Padri orientali è stata la ragione principale per negare l'autorità universale del vescovo di Roma.
«La giurisdizione universale» del vescovo di Roma, come viene interpretata nella Teologia della Chiesa occidentale, fu il risultato di un lungo sviluppo storico, dovuto al fatto che in Occidente il Trono di Roma era l'unica sede apostolica, che ha ricevuto privilegi politici particolari. Come sappiamo, nel Medioevo il Papa aveva non solo il potere spirituale, ma anche quello politico, ha incoronato non solo i principi cristiani, ma egli stesso era in un certo senso un sovrano: aveva la propria terra e il proprio esercito. Tutto questo, naturalmente, ha rafforzato l'autorità del Trono di Roma.
Nell’Oriente cristiano si sono verificati processi completamente diversi: il territorio su cui erano situati gli antichi Patriarcati orientali cadde sotto un dominio e poi un altro, subì le incursioni degli arabi, dei turchi. Tutto questo ha contribuito all'indebolimento degli antichi troni orientali, in particolare dei troni di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, che hanno perso de facto gran parte della loro indipendenza. Per anni e per decenni i Patriarchi non sono potuti rimanere sulle loro cattedre, non potevano andare a Costantinopoli, non potevano partecipare al Sinodo della Chiesa di Costantinopoli, firmare documenti importanti per la Chiesa, come, ad esempio, il documento sul riconoscimento del Patriarcato nella città di Mosca e nelle terre del nord, che è stato firmato da quattro Patriarchi orientali. Nonostante la dipendenza effettiva da Costantinopoli, dal punto di vista del diritto canonico i Patriarchi di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme sono rimasti primati di Chiese autocefale, di rango pari al Patriarca di Costantinopoli.
Dopo la caduta di Costantinopoli, il Patriarca Ecumenico ha ricevuto ulteriori privilegi come etnarca della popolazione greco-ortodossa nel territorio dell'Impero Ottomano, che ha minato ulteriormente l’autorità degli antichi Patriarcati. Questo privilegio ha permesso al Patriarca di Costantinopoli di salvare la Chiesa nelle difficili condizioni di persecuzione da parte dei turchi e persino di utilizzare questo privilegio a beneficio non solo della Chiesa di Costantinopoli, ma anche di altre Chiese ortodosse locali.
Negli anni '20 del secolo scorso sono state effettuate modifiche molto importanti alla posizione del Patriarca di Costantinopoli circa la superiorità della cattedra di Costantinopoli. Abbiamo visto come nel corso della storia la Chiesa d’Oriente in polemica con il papismo ha mantenuto con molto zelo la dottrina della parità dei Primati delle Chiese autocefale, in quanto nessuno di loro è il capo, i primati sono uguali, e se c'è un primo, questi è il primo tra uguali. Negli anni ’20, in virtù dei processi migratori che interessarono intere nazioni e popoli, in particolare quelli che sono stati causati dalla catastrofe dell'Asia Minore, un numero enorme di cristiani ortodossi, appartenenti a diverse giurisdizioni ecclesiastiche, era al di fuori dei confini storici di queste giurisdizioni canoniche. Ad esempio, centinaia di migliaia di greci provenienti dall'ex Impero Ottomano erano in diaspora in America, Australia ed Europa occidentale. Proprio allora il Patriarca ecumenico Meletios (Metaksakis) formulò una dottrina completamente nuova, che non era conosciuta nella Chiesa d'Oriente: il Patriarca è ecumenico non solo a motivo del suo titolo, ma perché ha giurisdizione universale su tutta la diaspora ortodossa.
Questo punto di vista, che è stato giustificato da una lettura particolaristica e unilaterale del canone 28 del Concilio di Calcedonia, divenne la posizione ufficiale del Patriarcato di Costantinopoli. Esso non è stato accettato dalle altre Chiese ortodosse locali e, in particolare, dalla Chiesa russa. Ma dobbiamo renderci conto che gli anni ‘20 - '50 sono stati un periodo in cui il dialogo interortodosso era condotto virtualmente - in realtà, esso è iniziato nei primi anni '60 ed è stato associato con l'emergere dell'idea di convocare un Concilio Panortodosso. Durante la preparazione di questo Concilio, le relazioni tra le Chiese ortodosse locali si sono significativamente intensificate, e quindi nella preparazione dei documenti conciliari è emersa una differenza significativa nella comprensione del ruolo del primo vescovo nella Chiesa universale.
I preparativi del Concilio Panortodosso, che hanno avuto inizio nel 1961, sono ancora in corso. Sono andati avanti per più di 50 anni, e otto quesiti su dieci sono stati risolti nel corso del processo preconciliare, è stato raggiunto un certo consenso, che è stato fissato nei documenti per avere oggi una situazione preliminare. Ma devo dire che il tema del primato nella Chiesa universale in essi non è stato toccato e durante la preparazione dei documenti ripetutamente sono emersi attriti, che si sono verificati proprio a causa delle diverse interpretazioni del ruolo del governo e del primo vescovo nella Chiesa universale.
Recentemente è stato discusso il processo di concessione dell’autocefalia, che può essere presentato e risolto in sede di Concilio Panortodosso. All’inizio le posizioni nella Chiesa di Costantinopoli e, ad esempio, nella Chiesa ortodossa russa erano completamente diverse. La Chiesa di Costantinopoli riteneva che il diritto di concedere l’autocefalia a ogni Chiesa locale dovrebbe appartenere al trono di Costantinopoli e il Tomos di autocefalia deve essere firmato e poi consegnato al capo della neonata Chiesa dal Patriarca di Costantinopoli. Il nostro punto di partenza era che l'autocefalia può essere concessa dalla Chiesa locale, alla quale la nuova Chiesa apparteneva alla data della sua autocefalia. È su questa base che nel 1970 la Chiesa ortodossa russa ha concesso l’autocefalia alla Chiesa ortodossa in America, ma Costantinopoli non l’ha riconosciuta e non la riconosce perché non è d'accordo con questo modo di concedere l'autocefalia.
Durante la discussione sul tema dell’autocefalia nel processo preconciliare è stato raggiunto il consenso su come verrà concesso in futuro: il consenso è basato sul fatto che la concessione dell’autocefalia deve avvenire attraverso un procedimento panortodosso, in cui sono coinvolte tutte le Chiese locali; il Tomos dell’autocefalia deve essere firmato dai capi di tutte le Chiese ortodosse locali; il primo a firmare sarà il Patriarca di Costantinopoli, e dopo di lui, in base ai dittici, firmeranno i capi delle altre Chiese locali. La questione è ancora aperta su come sarà messa la firma - il Patriarcato di Costantinopoli insiste sul fatto che la firma del Patriarca ecumenico deve essere accompagnata da alcuni termini che enfatizzino il suo primato e ha dichiarato che a prendere le decisioni è lui e la firma degli altri Primati starebbe ad indicare che essi si uniscono alle decisioni già prese. Tale procedura per la firma del Tomos proposto da Costantinopoli non è stata accettata dalla nostra Chiesa. Ci sono anche problemi irrisolti riguardo alla formulazione del Tomos, e altre questioni particolari, ma un accordo generale ora è stato raggiunto, il consenso su come concedere l’autocefalia attraverso un procedimento panortodosso.
Inoltre, c’è consenso su chi debba convocare il Concilio Panortodosso. Sappiamo dalla storia che i Concili ecumenici venivano convocati dagli imperatori. Gli imperatori non ci sono più, non hanno l’autorità civile che consente di convocare il Concilio, stabilire l'ordine e in seguito accogliere le decisioni conciliari. Quindi ci deve essere un meccanismo panortodosso. Tale meccanismo è stato creato e il diritto di convocare il Concilio Panortodosso è stato concesso al Patriarca di Costantinopoli, ma non come capo della Chiesa universale, ma come primo tra suoi pari nel rango di Primati delle Chiese ortodosse locali. E ha ottenuto questo diritto non perché il trono di Costantinopoli ha un qualche ruolo universale, ma perché ciò è stato concordato, questo è stato il consenso delle Chiese ortodosse locali alle riunioni panortodosse. In altre parole, le Chiese ortodosse locali delegano al Patriarca di Costantinopoli alcune funzioni di coordinamento, compreso il diritto di convocare il Concilio Panortodosso.
Il Patriarca di Costantinopoli, secondo una prassi consolidata, è in grado di agire per conto di altre Chiese ortodosse locali nel caso in cui la Chiesa locale è affidata a lui o è invitato a farlo; se questo non avviene, agisce come capo della Chiesa locale di Costantinopoli. Ad esempio, nei prossimi giorni ci sarà un incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, e in Occidente, soprattutto sui mezzi di informazione laici, questo incontro viene visto come una riunione dei capi delle Chiese cattolica e ortodossa, dove il Patriarca di Costantinopoli è considerato il leader spirituale dei trecento milioni di ortodossi nel mondo. Dal nostro punto di vista, il Patriarca di Costantinopoli si incontra con il Papa come capo della Chiesa ortodossa locale di Costantinopoli, e non come unico capo di tutti gli ortodossi, perché né la Chiesa russa, né le altre Chiese locali gli hanno mai dato l’autorità di incontrare a loro nome il Papa di Roma.
La Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli hanno una particolare responsabilità storica per la rottura che si è verificata nell’XI secolo, e fino ad oggi questo influisce sulla vita del Cristianesimo mondiale, pertanto, i passi che il Papa di Roma e il Patriarca di Costantinopoli compiono l’uno verso l'altro (a cominciare da Papa Paolo VI e dal Patriarca Atenagora), naturalmente sono importanti anche per tutta l’Ortodossia. Tuttavia, questi incontri noi li consideriamo come una riunione dei capi delle Chiese locali di Roma e Costantinopoli, anche se la Chiesa di Roma oggi è vista agli occhi dei cattolici di tutto il mondo non come la Chiesa locale di Roma ma come la Chiesa sparsa in tutto l'universo.
La differenza nella comprensione del primato nella Chiesa universale è stata pienamente manifestata nel dialogo teologico tra ortodossi e cattolici. Il dialogo ortodosso-cattolico ufficiale è in corso da più di trent’anni, dal 1980. Come parte di questo dialogo sono state discusse diverse questioni ecclesiologiche, di carattere teologico ed ecclesiastico. Un risultato molto importante, a mio parere, è che nel 1993 gli ortodossi e i cattolici insieme hanno condannato l’uniatismo, affermando che non è un metodo accettabile per raggiungere l'unità.
Per noi ortodossi questo fatto era chiaro anche prima, lo dimostra la storia della nostra Chiesa: l'uniatismo non ha portato altro che catastrofi ai popoli ortodossi, persecuzioni e discriminazioni. E oggi vediamo le azioni degli uniati in Ucraina, non sono amici dell'Ortodossia e in nessun modo sono il collegamento tra l'ortodossia orientale e il cattolicesimo occidentale, come a volte si cerca di far passare in Occidente. In realtà, l’uniatismo è stato creato appositamente come progetto missionario e di proselitismo, mira a convertire gli ortodossi al cattolicesimo. Gli uniati sin dall'inizio sono stati e rimangono profondamente ostili all’Ortodossia; non sono amici della Chiesa ortodossa, e quando le circostanze politiche contribuiscono alla rinascita dell’uniatismo, gli uniati lo usano per infliggere il più possibile colpi dolorosi agli ortodossi. Oggi sentiamo dichiarazioni di vescovi uniati, a cominciare dal capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, l'arcivescovo Sviatoslav Shevchuk, e anche di sacerdoti e laici uniati, che hanno come fine lo smembramento della Chiesa russa. Essi sono apertamente ostili e dimostrano che l'uniatismo continua ad essere un ostacolo nelle relazioni tra ortodossi e cattolici ed è ancora una ferita sanguinante sul corpo del Cristianesimo mondiale.
Così, nel corso del dialogo ortodosso-cattolico almeno una volta e, almeno sulla carta, la Chiesa cattolica ha riconosciuto che l’uniatismo non è il modo per raggiungere l'unità. Purtroppo, in questo riconoscimento teorico della fallacia dell’uniatismo non sono seguite misure concrete, e quando la parte ortodossa ha proposto di preparare un altro documento che affronti le conseguenze canoniche e pastorali della Chiesa uniate, la parte cattolica si è opposta categoricamente. Il dialogo è stato sospeso; poi, sei anni dopo, le parti sono tornate al dialogo, ma si è deciso di discutere di altri argomenti. Abbiamo proposto di discutere del tema del primato del vescovo di Roma, e qui sono venute fuori le differenze non solo tra ortodossi e cattolici, ma anche tra le stesse Chiese ortodosse locali. Queste differenze sono associate all’approccio al problema, che noi osserviamo nell’Oriente ortodosso, a partire con il Patriarca Meletios (Metaxakis), vale a dire dal 1920.
Che cosa abbiamo affrontato nel corso del dialogo cattolico-ortodosso sul tema proposto? La parte cattolica procede molto lentamente, molto gentilmente cerca di imporci le sue opinioni sul primato del vescovo di Roma nella Chiesa universale, si rifà sia alla storia della Chiesa che a vari documenti del primo e secondo millennio. Dalla parte ortodosssa non è stata formulata alcuna risposta a queste dichiarazioni, a questi punti di vista dei cattolici. Se una risposta davvero chiara esisteva nella tradizione ortodossa, almeno dall'XI al XIX secolo compreso, e a tal proposito abbiamo un’enorme quantità di prove e citazioni, ora non più, perché non c'è unità tra le Chiese ortodosse sulle prerogative, di cui dovrebbe godere il primo vescovo, se è il primus inter pares, il primo tra uguali.
Questa situazione ha indotto il Sacro Sinodo della Chiesa ortodossa russa ad affidare alla Commissione sinodale biblico-teologica il compito di sviluppare un documento che definisca la posizione del Patriarcato di Mosca sul primato nella Chiesa universale. Il Sacro Sinodo ha chiesto alla Commissione sinodale biblico-teologica di elaborare un documento normativo che possa servire come base per la posizione del Patriarcato di Mosca nel dialogo con la Chiesa cattolica romana, ma anche, naturalmente, che possa avere rilevanza per i problemi nei rapporti inter-ortodossi, perché il tema del primato nella Chiesa universale non riguarda solo le relazioni tra ortodossi e cattolici, ma è all’ordine del giorno anche nel dialogo interortodosso.
Tale documento è stato predisposto ed approvato dal Sacro Sinodo della Chiesa ortodossa russa nel dicembre dello scorso anno. Le disposizioni principali di tale documento si basano su due millenni di tradizione teologica della Chiesa ortodossa.
In modo particolare nel documento viene sottolineata l’importanza del principio del consenso tra le Chiese ortodosse circa il primato a livello universale. Esiste e non è in alcun modo negato nella Chiesa russa: nel documento si afferma esplicitamente che per tutte le Chiese ortodosse locali il primato appartiene al Patriarca di Costantinopoli, ma subito dopo si specifica che appartiene a lui come il primus inter pares tra i Primati delle Chiese ortodosse locali.
Afferma inoltre che il contenuto sostanziale di tale primato è determinato dal consenso che le Chiese ortodosse locali hanno espresso, in particolare, negli incontri panortodossi durante la preparazione del Grande e Santo Concilio della Chiesa ortodossa. Se eventuali diritti di coordinamento spettano al Patriarca di Costantinopoli, non è perché è più importante di un altro, ma perché è stato condiviso dalle altre Chiese ortodosse. Il documento rileva che nella Santa Chiesa di Cristo il primato in tutte le cose appartiene al suo Capo, nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, rispetto al Quale qualsiasi altra forma di superiorità è secondaria a questa supremazia eterna del Signore.
Inoltre, considera il primato nei tre livelli della vita della Chiesa: la diocesi, la Chiesa locale e la Chiesa universale. Perché il documento ha una tale struttura? Perché nel 2007 a Ravenna, in assenza di rappresentanti della Chiesa ortodossa russa, è stato adottato un documento ortodosso-cattolico sulla cattolicità e sul primato nella Chiesa universale, dove è stato scelto proprio un tale modo di discussione e a nostro avviso presentato molto male, nel quale ci si riferisce al primato su di un unico livello, potendo poi essere trasferiti automaticamente ad un altro livello.
Come ben sappiamo, il ruolo primaziale in ogni diocesi appartiene al vescovo, e lì egli non ha eguali: dirige la diocesi e con essa tutte le persone, tra cui, ad esempio, i vescovi ausiliari e i presbiteri, che gli obbediscono. Ma ora stiamo creando le metropolie: in ognuna di esse ci sono i metropoliti e i vescovi, i quali sono uguali rispetto all’ordine sacramentale, ma il metropolita è il primo tra uguali. E si scopre che la metropolia non è la diocesi, ma una forma diversa di auto-organizzazione della Chiesa. Ci sono quindi diversi livelli e varie forme di auto-organizzazione della Chiesa, che può comprendere due o più diocesi, sia che si tratti della metropolia che del distretto metropolitano, della Chiesa autonoma o della Chiesa autocefala.
Sappiamo che la superiorità assoluta spetta al Primate nella sua Chiesa locale, sia come Patriarca, che come Arcivescovo o Metropolita, ma sappiamo anche che come vescovo egli è il primus inter pares. Ha alcuni diritti in relazione ad altri vescovi, ma il Primate non è il vescovo dei vescovi; come gli altri vescovi, egli conduce la Chiesa in un determinato territorio. Ad esempio, se parliamo della Chiesa ortodossa russa, il Patriarca è il vescovo della città di Mosca.
Secondo la logica del documento di Ravenna, le prerogative che si riferiscono al primo su uno stesso livello, possono essere trasferite al primo su un altro livello, e quindi il ministero dei vescovi della diocesi può essere paragonato al ministero del metropolita nella metropolia, quello del Primate nella Chiesa locale al primo vescovo nella Chiesa universale. È chiaro che questo approccio è ben accetto ai cattolici, perché, in realtà, riflette la comprensione cattolica della struttura amministrativa nella Chiesa universale, ma esso non può essere accettato dalla nostra Chiesa, come si vede nel metodo di questa discussione teologica circa l’errore metodologico sul primato, che conduce a false costruzioni ecclesiologiche.
Nel documento di Ravenna si dice che la Chiesa è l'immagine della Santa Trinità, e noi non discutiamo di questo, quando non si applica alle parti, ma se parliamo del ruolo dei vescovi nella diocesi, dobbiamo davvero vedere che questo sia un ruolo centrale; vi è anche la prova patristica, che ci permette di progettare il modello trinitario nella struttura della diocesi: secondo le parole di Sant'Ignazio di Antiochia il vescovo è Dio Padre, i presbiteri svolgono il ministero degli apostoli, ecc. Ma quando si parla, ad esempio, di metropolia e di Chiesa locale, non ci sono le basi teologiche per paragonare una Chiesa locale o il capo di una metropolia a Dio Padre - non ci sono né citazioni, né fonti nella tradizione ortodossa.
Così qui è possibile parlare di un’altra forma di superiorità, di una gestione collegiale nella Chiesa. La gestione della Chiesa diocesana può essere chiamata solo relativamente collegiale perché il potere supremo non è il consiglio diocesano, non è l’assemblea diocesana, non è un qualsiasi organo collettivo - tutti questi organismi, tra cui il giudice ecclesiastico, sono complementari, ma la decisione spetta chiaramente al vescovo.
Nella Chiesa locale le decisioni vengono prese dal Consiglio dei Vescovi, che è l'autorità suprema. A livello della Chiesa locale esiste una diversa organizzazione - la gestione conciliare, dove c'è un primus inter pares, che conduce il dibattito, modera l'incontro, ma le decisioni conciliari sono vincolanti per tutta la Chiesa, anche per il primo vescovo.
Per quanto riguarda la Chiesa universale, nella tradizione ortodossa non esiste alcun meccanismo amministrativo alla sua base. La Chiesa ortodossa universale è organizzata come una comunità e comunione di Chiese ortodosse locali, ciascuna delle quali è indipendente dalle altre nella sua gestione amministrativa. Noi non abbiamo il capo della Chiesa universale, che dovrebbe essere superiore a tutti, e non sarebbe quindi primus inter pares.
Considerando questa prospettiva, nel documento «Posizione del Patriarcato di Mosca sulla questione del primato nella Chiesa universale», affermiamo che il primato in ciascuno di questi tre livelli ha una natura diversa e, di conseguenza, ha fonti diverse. Qual è la fonte del primato per i vescovi delle diocesi? La successione apostolica: ogni vescovo è un successore degli Apostoli, ha ottenuto questa sua autorità attraverso l’imposizione delle mani, secondo una catena lineare di successione dai santi Apostoli. Qual è la fonte dell’autorità del primo vescovo nella Chiesa locale? È il Consiglio dei Vescovi ad eleggere il Primate della Chiesa: egli è il capo di una Chiesa Locale, non perché è il successore degli Apostoli, - anche tutti gli altri vescovi sono successori degli Apostoli, - ma perché è stato eletto dai vescovi e delegato a svolgere il ministero del Primate. E qual è la fonte del primato nella Chiesa universale?
Non è né la successione apostolica, né l’elezione, ma i dittici, che stabiliscono l’ordine delle Chiese locali negli elenchi ufficiali. Il primo vescovo della Chiesa universale non è eletto dalla Chiesa universale - egli è stato eletto nella sua Chiesa locale e, pertanto, ha gli stessi diritti dei Primati delle altre Chiese ortodosse locali.
Tutte queste differenze noi abbiamo cercato di presentarle nel documento «Posizione del Patriarcato di Mosca sul primato nella Chiesa universale». Questo documento è piccolo, ma è completo e pertinente, e credo che gli eventi che si verificheranno nei prossimi anni, la nostra posizione e la nostra partecipazione ad essi, saranno in gran parte motivati proprio dalle conclusioni che vengono fatte in questo documento. Ad esempio, nel 2016 sarà convocato il Concilio Panortodosso, se non ci saranno ostacoli alla sua convocazione. La nostra partecipazione a questo Concilio sarà possibile solo se le decisioni saranno prese per consenso; al principio del consenso hanno aderito i Primati delle Chiese ortodosse locali nel corso della riunione che si è svolta ai primi di marzo ad Istanbul. Perché questo è importante per noi? Perché dobbiamo essere assolutamente certi che nessuna Chiesa locale sia in grado di imporre alcun tipo di decisione su un'altra Chiesa locale, che nessuna decisione del Concilio Panortodosso sia presa a scapito della nostra Chiesa, contro la volontà del popolo della nostra Chiesa.
Il Patriarca di Costantinopoli ha sostenuto che tutte le decisioni in seno al Concilio potevano essere prese a maggioranza, che ogni Chiesa locale doveva essere rappresentata dallo stesso numero di vescovi. Noi ci siamo opposti categoricamente, perché in questo modo potevamo trovarci di fronte a situazioni, in cui potevano essere prese decisioni che andavano contro la Chiesa ortodossa russa. Pertanto, per noi è importante che il processo decisionale avvenga secondo il metodo del consenso; abbiamo ottenuto questo, ma ci sono ancora molte altre questioni riguardanti l'ordine del giorno del Concilio Panortodosso, i temi da trattare, quindi sarà possibile che durante il Concilio saranno apportate modifiche ai documenti, che vengono preparati in anticipo, e se sì, quali. Ad esempio, crediamo che tutti i documenti che devono essere adottati, debbano essere concordati e approvati dai Sinodi delle Chiese ortodosse locali, - solo allora potremo avere quella pace della mente che ci consente di andare al Concilio Panortodosso.
Non meno importante è il tema del primato nella Chiesa ortodossa, perché si è capito che tale primato è direttamente correlato alla gestione della vita della Chiesa.
Noi crediamo che in qualche modo siamo riusciti a trovare un equilibrio tra le posizioni delle Chiese ortodosse locali su questo tema, ma allo stesso tempo questo equilibrio è piuttosto fragile, perché anche la pubblicazione del nostro documento sul primato nella Chiesa ha causato una risposta non univoca nelle Chiese locali, in particolare nel Patriarcato di Costantinopoli. Il Primate non ha risposto ufficialmente al nostro documento, ma alcuni vescovi e teologi della Chiesa ortodossa di Costantinopoli hanno criticato questo documento nei loro discorsi. Ad esempio, in risposta al nostro documento, il metropolita di Prussia Elpidifor ha pubblicato un articolo dal titolo molto eloquente «Primus sine paribus», con il quale si vuole dimostrare che il Patriarca di Costantinopoli non è il primus inter pares (primo tra uguali), ma primus sine paribus, che significa «primo senza uguali», perché, secondo lui, il vescovo della Chiesa di Costantinopoli è davvero il primo tra uguali, ma come Primate dell’antica sede è l'unico nel suo genere e non ha uguali.
Tutti questi problemi oggi sono di grande importanza per la vita domestica della Chiesa ortodossa e il dialogo ortodosso-cattolico, e vorrei che voi studiaste attentamente questo documento e familiarizzaste con le tesi che la Chiesa ortodossa russa sta portando avanti a sostegno della sua posizione, in modo da capire chiaramente da che cosa sono motivate le nostre azioni sia nel dialogo ortodosso-cattolico che nella cooperazione interortodossa durante la preparazione del Santo e Grande Concilio.

(Traduzione dal russo a cura della redazione)



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Il presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, metropolita Hilarion di Volokolamsk
I santi Costantino ed Elena che adorano la Vera Croce. Icona intagliata su onice. Costantinopoli, X secolo. Una delle icone più antiche del periodo post-iconoclasta. Cornice in oro con iscrizione. Mosca, 1589 - Musei del Cremlino
Accademia Teologica di Mosca
San Sergio di Radonež (1314-1392)
Agosto '17